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Workshop ODFLAB: “Dalla ricerca alla pratica clinica”

ODFLAB compie 10 anni e vi invita a partecipare al workshop “Dalla ricerca alla pratica clinica” che si terrà l’8 novembre 2013 a Rovereto (TN) .

Avremmo l’onore di contare sulla  partecipazione di numerosi specialisti, che discuteranno  le ultime novità e i progressi nella ricerca della cognizione e percezione dei genitori.  Vi saranno inoltre  le ultime novità  in psicologia clinica e sugli interventi nei disturbi dello Spettro Autistico.

L’ingresso è libero; per maggiori informazioni potete scaricare l’allegato con il programma  e informazioni o visitare il sito ODFLAB  http://www.odflab.unitn.it  .

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Vi aspettiamo numerosi!

odflabTeam

Convegno Autismi: L’integrazione possibile, dal bambino all’adulto

Il 3 ottobre 2013 a Roma si terrà il convegno internazionale “L’integrazione possibile, dal bambino all’adulto”.

Tra gli espositori abbiamo il  Prof. M. Zappella, Prof. S. Vicari (Osp. Ped. B. Gesù), Dott. G. Valeri , D.ssa F. Sonnino,  il Prof. R. Larsen (Centering on children, North Carolina) e tantissimi altri che tratteranno argomenti come la tutela dei diritti, nuove politiche giovanili, lavoro, introduzione alle tipologie di interventi efficaci, trattamenti esperimentali e interventi abilitativi.

Per maggiori informazioni visitate il sito: http://www.tuttigiuperterra.org

Autismo e scuola: Paola Venuti intervistata da Radio 3

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Il programma di Radio 3, ‘Fahrenheit’, ha chiesto l’opinione della professoressa Paola Venuti riguardo come i docenti possano affrontare la presenza di un bambino con diagnosi di autismo in classe.Dopo la richiesta dei genitori di sei bambini di spostare i loro figli in un’altra sezione a causa della presenza di un bambino affetto d’autismo è emersa la necessità di affrontare alcuni punti importanti.

Innanzitutto, bisogna capire che non c’è un unico modo di gestire l’autismo in classe; l’autismo è una patologia diversa da altre ed è quindi necessario formare gli insegnanti al fatto che il bambino autistico ha delle peculiarità, delle problematicità, dei modi di agire diversi. Con dei programmi di formazione gli insegnanti  ed educatori potrebbero gestire al meglio le problematiche che possono sorgere. la necessità di affrontare alcuni punti importanti.

I bambini con autismo a scuola devono essere guidati negli apprendimenti didattici, ed aiutati a lavorare sugli aspetti della socializzazione e  sugli aspetti della comunicazione; bisogna trovare, studiare e provare delle tecniche di comunicazione alternative con bambini che usano male o usano poco il linguaggio  o con quelli che riescono a usare il linguaggio ma non riescono ad associare quello che dicono all’oggetto reale.

Gli insegnanti devono quindi imparare ad usare queste tecniche di comunicazione per lavorare sull’aspetto sociale di tali alunni: in particolare si può suggerire di passare da interazioni singole tra pochi bambini per via via aumentare il numero di componenti del gruppo di interazione. Questo sembra fondamentale perché la sovresposizione sociale e sensoriale può originare comportamenti non adatti nel contesto scolastico. Si rende quindi necessario studiare appositamente ogni caso e scegliere un programma di intervento adatto al bambino autistico.

Infine viene evidenziata la necessità di  un lavoro in rete tra familiari, personale sanitario, personale scolastico, ecc. Questo lavoro in rete può portare ad una maggiore consapevolezza di  come si deve intervenire in questi casi e soprattutto riuscire ad ottenere una maggiore integrazione del bambino autistico a scuola.

ASCOLTA L’INTERVISTA

Libri “Genitorialità” di Marc H. BORNSTEIN e Paola VENUTI

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Nell’esperienza del diventare genitori sono attivi aspetti non solo naturali ma anche fortemente culturali. Essere genitori significa infatti da un lato esercitare un ruolo sociale definito dal contesto culturale di appartenenza, dall’altro attingere a tipologie di comportamenti universali, trasversali a tutte le culture.

Questo volume affronta l’argomento in chiave sia biologica  sia culturale proponendo un modello di analisi e intervento di sostegno del ruolo genitoriale. Sono illustrate le attitudini alla pratica della genitorialità, con i fattori che la influenzano – caratteristiche dei figli, dei genitori e dell’ambiente – fino a una disamina delle basi biologiche delle differenze tra padre e madre.

Marc H. Bornstein dirige il Centro di ricerca per l’infanzia e la famiglia Eunice Kennedy Shriver – NICHD (National Institute of Child Health and Human Development) di Bethesda, MD.

Paola Venuti, professore ordinario di Psicologia dinamica e Psicopatologia clinica, è responsabile del Laboratorio di Osservazione, Diagnosi e Formazione nel Dipartimento di Psicologia e Scienze cognitive dell’Università di Trento.

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Conferenza ISAAC 2014

L’Associazione Internazionale per la Comunicazione Aumentativa Alternativa (ISAAC) organizza la 16° conferenza biennale, in questa occasione l’argomento della conferenza ISAAC 2014 è “Scoprire la comunicazione”. La conferenza avrà luogo a Lisbona dal 19 al 24 luglio 2014 e verranno trattati argomenti riguardanti:

  1. Le prospettive, esperienze e l’impegno degli utenti e dei familiari;
  2. Le pratiche cliniche di CAA ed educazione professionale;
  3. La ricerca e sviluppo dell’informazione nel campo della comunicazione aumentativa alternativa (CAA).

Nel documento allegato potete trovare tutte le informazioni riguardanti la presentazione di articoli (documento tradotto in italiano) e al seguente link potete trovare le informazioni in lingua originale (inglese). La data limite per presentare i vostri articoli è il 15 ottobre 2013.

Documento: ISAAC 2014

Link: https://www.isaac-online.org/english/conference-2014/call-for-papers/

Autismo e vaccini: una correlazione inesistente

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Ad alcuni genitori viene il dubbio se far fare o meno ai propri figli i vaccini obbligatori perché una ricerca del 1998 aveva ipotizzato che il vaccino trivalente MPR (Morbillo – Parotite – Rosolia) potesse essere una delle cause dell’autismo infantile. Attualmente non esiste nessuna prova scientifica del fatto che i vaccini abbiano una relazione con l’autismo. La notizia viene rimarcata in un vademecum aggiornato sull’autismo pubblicato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (Questions and answers about autism spectrum disorders ASD – Settembre 2013).

I risultati dell’unico studio, condotto su un campione di 12 bambini, che ipotizzava un legame del vaccino con l’autismo infantile sono stati in seguito ritrattati dagli stessi medici che avevano collaborato con il gastroenterologo Andrew Wakefield (coordinatore della ricerca). Una successiva ricerca, coordinata da Nick Chadwick, condotta su 22 bambini (alcuni dei quali coinvolti in precedenza nello studio di Wakefield) diede dei risultati completamente divedersi da quelli ottenuti nello studio del 1998. In nessuno dei casi osservati sono state rilevate tracce del virus del morbillo nello stomaco dei bambini affetti da autismo.

L’Organizzazione Mondiale della Sanità evidenzia che i dati epidemiologici disponibili non mostrano nessuna evidenza di correlazione tra il vaccino trivalente per morbillo, parotite e rosolia (MPR) e l’autismo, stessa conclusione vale anche per tutti gli altri vaccini infantili. Ulteriori studi commissionati dall’Oms hanno permesso inoltre di escludere ogni associazione con gli adiuvanti al mercurio usati in alcune formulazioni (il tiomersale, che contiene mercurio etilico, non è stato associato a disturbi dello spettro autistico).

Ad oggi non si sa ancora molto sulle cause dell’autismo nei bambini, numerosi studi hanno evidenziato una multifattorialità della patologia (ci sono sia basi genetiche che ambientali). Di sicuro l’autismo non si previene non vaccinando i propri figli, anzi, questa pratica può essere più pericolosa di quanto non si possa pensare. Quasi il 40 per cento delle morti infantili è dovuto al morbillo, secondo alcune stime dell’OMS nel mondo muoiono un milione e mezzo di bambini per cause prevenibili con una semplice vaccinazione (purtroppo in alcune aree della terra la popolazione non ha accesso alle immunizzazioni di base). Molto importanti sono anche altri vaccini come ad esempio quello per la pertosse, malattia responsabile del 20 per cento delle morti infantili.

I vaccini per determinate malattie non sono però importanti solo per scongiurare la mortalità infantile, una volta adulte l’immunizzazione ricopre un ruolo importante anche per le donne durante il periodo della gravidanza. Una donna non vaccinata da bambina potrebbe contrarre la rosolia durante la gravidanza con notevoli rischi. Il virus della rosolia è in grado di superare la barriera placentare e provocare anomalie embrio-fetali; quindi, se la rosolia viene contratta da una donna in corso di gravidanza può portare a un aborto spontaneo, morte intrauterina del feto, o gravi malformazioni fetali (sinfrome della rosolia congenita), e ritardo di acquisizione delle tappe dello sviluppo. Alcuni rischi ci potrebbero essere anche con il morbilli, se una donna contrae il virus del morbillo nei primi mesi di gravidanza va incontro ad un lieve aumento del rischio di aborto spontaneo. Se invece l’infezione da morbillo è contratta nelle 2 – 3 settimane precedenti al parto, è possibile che il bambino si ammali di morbillo nei primi giorni di vita. Alcuni rischi ci sono anche con la varicella: qualora una donna vada incontro alla varicella nel corso del primo trimestre di gravidanza può verificarsi un maggior rischio di aborto o di malformazioni fetali.

Congresso europeo sull’autismo, Budapest 2013

Dal 26 al 28 settembre 2013 si terrà a Budapest il 10° congresso europeo sull’autismo:  ” Nuove dimensioni per l’autismo”.

Questo convegno è dedicato a condividere le ultime novità in ambito legale, scientifico e quotidiano; i principali argomenti che si tratteranno sono i nuovi sviluppi scientifici sulle possibili cause e trattamenti, nuove normative europee su educazione, impiego e diritti. Inoltre, verranno trattate nelle sessioni alcune tematiche che hanno suscitato molto interesse come l’incremento e sviluppo di tecnologie informatiche e di comunicazione così come tecniche che migliorano i metodi quotidiani di cura e assistenza.

Per maggiore informazione visitate il sito: http://www.autismcongress2013.eu

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Sovraccarico sensoriale

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Alcune persone affette da autismo hanno difficoltà a processare esperienze sensoriali intense multiple.

Questa breve animazione da allo spettatore uno sguardo al sovraccarico sensoriale e come  si intrecciano le nostre esperienze sensoriali nella vita di tutti i giorni.

Intervento e riabilitazione nei disturbi dello spettro autistico

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Sintesi 

Il volume propone una sintesi dei risultati della ricerca in ambito psicologico e comportamentale sui disturbi dello spettro autistico e presenta i principali metodi di intervento oggi in uso per il loro trattamento, evidenziando le basi teoriche che li supportano. Inoltre, approfondisce un modello di trattamento che coinvolge più figure professionali – psicologi, riabilitatori, educatori, insegnanti -, con il ruolo centrale della famiglia, per ribadire l’importanza di un trattamento precoce, sistematico e individualizzato. Il testo, offrendo chiarimenti e suggestioni per rendere efficaci gli sforzi e gli investimenti delle cure, si rivolge a tutti coloro che costituiscono la complessa rete sociale che circonda la persona con disturbo dello spettro autistico.

 

Dettagli del libro

Titolo:
Intervento e riabilitazione nei disturbi dello spettro autistico

Autori:
Paola Venuti

Editore:
Carocci

Collana:
Dimensioni della psicologia

Data di Pubblicazione:
Aprile 2012

ISBN:
8843062840

ISBN-13:
9788843062843

Pagine:
203

Formato:
brossura

Percorsi evolutivi. Forme tipiche e atipiche

 

Dettagli del libro

 

Titolo:
Percorsi evolutivi. Forme tipiche e atipiche

Autori:
Paola Venuti

Editore:
Carocci

Collana:
Dimensioni della psicologia

Data di Pubblicazione:
Aprile 2007

ISBN:
8843041606

ISBN-13:
9788843041602

Pagine:
198

Formato:
brossura

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Sintesi

 

Il libro propone una chiave di lettura di alcuni percorsi dello sviluppo psicologico: dall’infanzia all’adolescenza si descrivono i percorsi evolutivi tipici come punti di partenza per comprendere alcuni dei principali disturbi dello sviluppo, come l’autismo e il ritardo mentale. Il volume è rivolto a quanti lavorano con i bambini: educatori e insegnanti sia di classe sia di sostegno; psicologi e psicopedagogisti.

 

 


L’allenatore che cura l’autismo con i passaggi di basket

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Aveva 10 anni, Sofia, quando prese tra le mani per la prima volta il pallone da basket. «Erano mesi che provava, ma quando le lanciavamo la palla girava i dorsi e la lasciava cadere a terra». Autismo. Sofia non comunicava col mondo, caso difficile. Poi accadde qualcosa. «Non so che cosa avesse di diverso quel passaggio rispetto ad altri, fatto sta che Sofia scoppiò a piangere. Allora mi avvicinai, mi misi in ginocchio vicino a lei e cominciai a far scivolare il pallone lungo le gambe. Riuscii a farla sorridere. A quel punto si alzò in piedi, prese un tavolo e lo piazzò sotto il tabellone. Ci salì sopra, si fece dare il pallone e fece canestro. Poi mi diede la mano, e prima di andarsene mi disse “ciao”. Era la prima parola che diceva in vita sua. Un’emozione indimenticabile. In quel momento ho pensato: ho fatto la scelta giusta».

E che scelta. Sarebbe stato facile, per Marco Calamai, fiorentino, classe 1951, continuare ad allenare in serie A. Una carriera tra Ferrara, Pavia, Reyer Venezia, Firenze, Fortitudo Bologna e Pallacanestro Livorno, più di 300 presenze in panchina, dignitosi contratti e buoni stipendi. Un’avventura aperta. E invece. «E invece sentivo che mi mancava qualcosa. Non insegnavo più, quel basket cominciava ad andarmi stretto, i giocatori ti ascoltavano meno, ascoltavano solo se stessi e i procuratori. Così ho detto basta». Aveva altro da fare, altro da costruire, Marco Calamai. Se ne accorse quando sul suo percorso incontrò per caso questi ragazzi: disabili, down, autistici, caratteriali, iperattivi. La scintilla scoccò il giorno dell’incontro con Emma Lamacchia, responsabile dell’associazione La Lucciola: «Vidi questi ragazzi, praticavano lo sport come terapia, ma le uniche discipline erano nuoto ed equitazione, attività individuali. Proposi: perché non fargli provare uno sport di gruppo?».

All’inizio titubante, la dottoressa Lamacchia accettòuna prova. E Calamai fece quello che sapeva fare meglio: «Cercai di insegnare loro il basket. Cominciai a modo mio: urlando, incoraggiando, correndo e saltando, io sono solo così». Mise insieme normodotati e disabili, un progetto rivoluzionario: «Ma io non ho inventato nulla, ho fatto solo da mediatore, ascoltando le esigenze fisiche di quei ragazzi. La grande idea fu di non farli giocare nelle federazioni di sport per disabili, ma nelle federazioni “normali”. Lo sport non doveva essere un ghetto per loro».

Era il 1995: 17 anni dopo, in Italia ci sono 25 centri che adottano il «metodo Calamai», 750 ragazzi con disabilità mentale che si avvicinano alla vita giocando a pallacanestro. E un camp in Sardegna, alla sua prima edizione, dove 25 atleti normodotati e 25 atleti disabili si allenano e imparano a giocare a basket. Alla pari, senza differenze. Un momento di crescita, per gli uni e per gli altri. «Lo chiamano metodo ma è un non metodo. Due concetti base e tre regole. I concetti sono: 1) grande competenza nel basket, 2) capacità e voglia di scambiarsi con loro. Le regole sono ancora più semplici: 1) dammi la palla e se me la rendi potrai giocare, il passaggio come dialogo; 2) ognuno di noi ha più qualità che limiti, basta vedere i primi piuttosto che i secondi; 3) quando giochi, ti devi divertire. Così ho sfidato l’ortodossia». E così ha vinto.

Chiedere ai genitori di Junior, ragazzo chiuso e incapace di esprimersi in pubblico. Al primo allenamento, Calamai lo incalza: corri, muoviti, dai. La madre a bordo campo guarda allibita e pensa: lo riporto subito a casa. Quando Junior finisce l’allenamento glielo dice, tu qui non ci torni più, quello urla troppo. E il ragazzo le risponde: «Mamma, non hai capito niente, è solo per far rispettare le regole». Junior è ancora oggi uno dei ragazzi di Calamai.

L’allenatore che lanciò Gianmarco Pozzecco in serie A oggi si emoziona quando uno dei suoi ragazzi segna il canestro decisivo in un campionato normale. «Pozzecco, un piccolo play in un mondo di giganti, è l’esempio di quanto il basket sia democratico: equipara le differenze. È questo che insegno oggi ai miei ragazzi. E so che sono di parte, ma il basket è lo sport più bello del mondo, lo sport che tende al cielo. È un grande messaggio». Come quello dei ragazzi di Calamai, l’allenatore più vincente del basket italiano.

‘Autismo. L’individuazione precoce’ : ecco i dati della ricerca

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‘Autismo. L’individuazione precoce’  è una ricerca realizzata a Roma tra febbraio 2011 e il giugno scorso che  ha conivolto più di 70 tra asili nido e scuole dell’infanzia. In tutto monitorati 2.700 bambini. Fondamentale l’apporto degli insegnanti in collaborazione con i pediatri. Ecco i risultati.

Individuare l’autismo quando il disturbo non si è ancora radicato. Sensibilizzare gli educatori e gli insegnanti nel riconoscere i bambini a rischio e formare i pediatri per una diagnosi precoce, perché “scoprirlo prima permette di trattarlo meglio e con terapie mirate, migliorando così la qualità di vita dei bambini autistici e delle loro famiglie”. Questo l’obiettivo del progetto ‘Autismo. L’individuazione precoce’ promosso, tra febbraio 2011 e giugno 2012, dall’Istituto di Ortofonologia (Ido) in 74 strutture tra asili nido e scuole dell’infanzia del Comune di Roma.

In particolare, l’ultima fase del progetto ha preso in considerazione in particolar modo 27 nidi e scuole dell’Infanzia del IV Municipio di Roma per un totale di 638 educatori/insegnanti coinvolti, 52 pediatri e 2.700 bambini.

In tutto, quindi, sono stati raccolti 2.700 questionari, compilati dalle insegnanti sulla base dell’osservazione attenta dei bambini compresi nella fascia di età 0-6 anni. “L’attività formativa nelle scuole- hanno chiarito le operatrici IdO che hanno preso parte al progetto- ha puntato a rendere l’educatore/docente maggiormente cosciente del proprio ruolo e sensibile al problema. Nel caso in cui, infatti, è emersa una ipotesi avvalorata di questo disturbo, gli stessi educatori/docenti, in accordo con la famiglia, sono stati in grado di inviare il bambino dal pediatra per un approfondimento clinico”.

Dalla valutazione di tutti i questionari è emerso che 180 bambini devono continuare ad essere monitorati pur essendo in assenza di autismo, 55 soggetti devono essere sottoposti ad un approfondimento diagnostico, mentre 16 bambini sono risultati con diagnosi di disturbo dello spettro autistico. La percentuale di bambini a rischio di autismo in Italia di 1 su 180, resa nota dall’IdO lo scorso autunno, è stata quindi riconfermata da questi dati.

“L’autismo – ricorda l’Ido – è un disturbo di cui attualmente l’eziologia non è nota, i sintomi sono rilevabili entro il secondo/terzo anno di vita e si manifestano con gravi alterazioni nelle aree della comunicazione verbale e non verbale e dell’interazione sociale. Le recenti ricerche hanno evidenziato in maniera inequivocabile la fondamentale importanza della diagnosi precoce, prima del 3° anno di vita. L’IdO, centro accreditato dal Servizio sanitario nazionale di diagnosi e terapia per l’età evolutiva e operativo da oltre 40 anni, dopo aver lanciato lo scorso novembre l’allarme sull’incremento dello 0,6% della sindrome in 10 anni, passando da 1 bambino su 1.000 a 7 bambini su 1.000 (ovvero 1 bambino su 180, appunto), ha realizzato lo scorso anno un progetto formativo e informativo, in 74 nidi e scuole d’infanzia di Roma e provincia, per coinvolgere direttamente la
triade scuola-famiglia-pediatri (ognuno secondo il proprio ruolo) al fine di creare un ‘filtro’ iniziale che consentisse l’individuazione precoce dei soggetti a rischio di autismo”. Perché “il tempismo di una diagnosi è cruciale, considerando che un progetto terapeutico efficace può aver luogo solo dopo un accertamento tempestivo”, ha affermato il direttore dell’IdO Federico Bianchi di Castelbianco.

La formazione degli educatori/insegnanti “si è inserita come momento iniziale del progetto- ha precisato lo psicoterapeuta- in quanto gli operatori dell’infanzia sono i primi referenti per le difficoltà di relazione e socializzazione dei bambini e la loro competenza rappresenta un’importante risorsa nella società”. Agli educatori sono stati forniti, nel corso dei 16 mesi, gli strumenti “necessari per il riconoscimento dei comportamenti a rischio da segnalare ai pediatri: protocolli di screening, sistemi di rilevazione delle problematiche, corsi di aggiornamento sul disturbo e seminari monotematici attraverso incontri di focus-group”.

I pediatri invece “hanno seguito un corso di aggiornamento per la conoscenza e l’uso di questionari standardizzati e test- ha concluso Castelbianco- necessari per la rilevazione dei comportamenti legati a questa patologia”.

Anche l’Autismo invecchia

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In Europa soffrono di autismo 3,3 milioni di persone. Il dato nuovo di questo gravissimo disturbo è che, con l’allungamento delle aspettative di vita, tenderà ad interessare sempre più gli over 65. L’invecchiamento della popolazione europea spinge quindi a rivedere ed ampliare i servizi dedicati a questa specifica categoria di malati. Lo rende noto l’associazione Autism-Europe.

Apprendimento attraverso la CAA

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L’inclusione e l’integrazione degli studenti che utilizzano la CAA come strumento di comunicazione è fondamentale per favorire l’appartenenza e le relazioni sociali all’interno del contesto scolastico. Tuttavia favorire la socializzazione all’interno della scuola non è l’unico obiettivo da porsi. Anche la didattica svolge un ruolo fondamentale, ruolo che con i ragazzi con DSA risulta molto complicato da svolgere poiché richiede la collaborazione in sinergia di tutte le figure presenti nella scuola. Bisogna porre molta attenzione al fatto che la possibilità data dalle normative vigenti riguardo all’inclusione scolastica, non venga concepita come un dovere a sviluppare un’inclusione forzata. La misura della qualità del lavoro svolto all’interno della scuola con il ragazzo con DSA non può essere unicamente il tempo trascorso in classe, dal ragazzo che utilizza CAA,  poiché individuando questo come indice di efficacia del programma si rischia di trascurare il benessere del ragazzo. Il tempo trascorso in classe con i compagni deve essere vissuto con una partecipazione il più possibile attiva e condivisa da parte dello studente che utilizza la CAA. Per tale motivo bisogna fornire un supporto per lo sviluppo di competenze operazionali, linguistiche, sociali e strategiche relative all’uso della CAA (Light, Beukelman & Reichle, 2003). Risulta quindi importante dare a tutti gli studenti  accesso al programma curriculare poiché, gli studenti che usano la CAA se non partecipano attivamente alle stesse attività dei loro compagni non si possono considerarli veramente inclusi.

Per tal motivo ComuniCAAre vuole andare in aiuto ai maestri e ai professori sia di classe che di sostegno che vogliono rendere la partecipazione dello studente che utilizza la CAA una partecipazione attiva. Per rendere possibile ciò però l’insegnante deve produrre del materiale personalizzato per lo studente, materiale che deve seguire il programma curricolare in base alle esigenze e al livello cognitivo dello studente con bisogni educativi speciali. Produrre tale materiale richiede però principalmente due fattori: il primo è la capacità di produrlo, la seconda è il tempo che bisogna impiegare per elaborarlo. Se per il primo fattore vi possono essere dei corsi di formazione utili a superare tale scoglio, per quel che concerne il tempo non si trovano facilmente degli aiuti disponibili.

ComuniCAAre mira ad essere un supporto per gli insegnanti che, seppur con le capacità necessarie, non riescono a sviluppare il materiale per rendere la lezione curricolare partecipata dal ragazzo che usa la CAA  nel modo più simile possibile ai suoi compagni. Per attuare questo aiuto lo strumento che verrà utilizzato è la lavagna interattiva multimediale , più conosciuta come LIM.

In Italia, l’introduzione delle LIM è relativamente recente e in fase di rapido sviluppo. La Lavagna Interattiva Multimediale è una superficie di grandi dimensioni, in tutto simile alla lavagna classica, che consente di visualizzare contenuti e applicazioni (testi, immagini, animazioni, video, software) in formato digitale e in modo interattivo. La LIM può semplicemente essere definita una periferica del computer: una superficie che, grazie a un proiettore, riesce a visualizzare i contenuti presenti sul desktop e attraverso la tecnologia interattiva riesce a trasferire sul computer le operazioni svolte sulla lavagna. Ma è anche molto più di questo: tutto ciò che viene visualizzato sulla lavagna digitale “funziona” esattamente come sullo schermo di un computer ad essa collegato, dato che si possono aprire programmi differenti, selezionare, aprire e trascinare file, salvare, cancellare e modificare documenti, anche in modalità “touch-screen”. Ciò può avvenire sia nel caso in cui gli studenti siano collegati ad Internet oppure no. In ogni caso, la LIM trasforma un computer, in un “computer della classe” su cui molti soggetti possono operare contemporaneamente e condividere contenuti e operazioni in un processo di costruzione delle conoscenze.

Attraverso tale strumento, sfruttando soprattutto il touch screen, comuniCAAre vuole fornire del materiale personalizzato per ogni ragazzo che usa CAA in determinate materie come storia, geografia, scienze e italiano in base alle sue capacità e alle esigenze del gruppo classe. Fornire tale aiuto non significa, però, che l’insegnante delega l’integrazione e l’apprendimento al materiale ricevuto poiché dev’essere l’insegnante stesso a saperlo utilizzare in modo proficuo. L’ l’adesione da parte dell’istituzione scolastica al servizio che comuniCAAre offre,oltre ad essere un sostegno alla didattica, è infatti anche una responsabilità poiché l’insegnante si assume l’incarico di fornire in tempo debito il programma che vuole svolgere con la classe e i concetti chiave che desidera che tutti i suoi studenti, ragazzi che utilizzano la CAA compresi, apprendano dalla lezione. Tale azione va ad inserirsi in quella che viene definita UDL (Universal Design for Learning) che considera il materiale didattico come un elemento fondamentale dell’organizzazione scolastica.

Autismo: in Trentino nuovo percorso di cura approvato in Giunta provinciale

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Ieri, mercoledì 8 agosto 2012, la Giunta provinciale, su proposta dell’assessore alla salute e politiche sociali, Ugo Rossi, in seguito al percorso diagnostico e terapeutico per i soggetti autistici definito dall’Azienda provinciale per i servizi sanitari, ha approvato l’aggiornamento del nomenclatore individuando tre specifici “pacchetti” di prestazioni specialistiche.

Il percorso prevede: screening precoce, attività diagnostiche e riabilitative, implementazione del centro provinciale di secondo livello sull’autismo.

Presa in carico dei bisogni del bambino, appropriatezza e omogeneità del percorso su tutto il territorio provinciale sono gli obiettivi del presente atto.

I disturbi dello spettro autistico sono una patologia grave caratterizzata da una difficoltà del singolo a stabilire relazioni, causata da problemi di neurosviluppo. Si tratta di una condizione patologica cronica e inabilitante che si riflette sulla tenuta del tessuto familiare. In questo senso fondamentale risulta la formulazione della diagnosi, da cui partire per creare un modello di intervento integrato di cura che prevede la collaborazione costruttiva e indispensabile fra le diverse forze che interagiscono attorno al singolo soggetto: il sistema socio-sanitario, il sistema scolastico e la famiglia.

Tre i punti qualificanti di questo percorso diagnostico riabilitativo:

  1. screening precoce
  2. attività diagnostiche e riabilitative in carico alle unità operative di neuropsichiatria infantile territoriale e ospedaliera
  3. implementazione del centro provinciale di secondo livello sull’autismo.

“Vogliamo offrire alle famiglie la garanzia dei servizi a cui possono accedere, assicurandoli in tutto il territorio provinciale – ha commentato l’assessore Ugo Rossi -. Mi preme ringraziare l’Azienda provinciale per i Servizi sanitari che, in collaborazione con gli uffici dell’Assessorato, ha definito un quadro di risposte articolato e ampio, non solo del servizio sanitario provinciale ma anche del privato sociale accreditato. Tra questi vi è sicuramente l’Associazione Genitori Soggetti autistici del Trentino – Agsat, che ha svolto in questi anni una preziosa azione di stimolo e di collaborazione nella definizione delle risposte a tali bisogni. Attraverso questo percorso viene chiesto all’Azienda sanitaria uno sforzo in più – ha proseguito ancora l’assessore di riferimento – di supporto e presa in carico, non solo clinico-diagnostica , una sorta di assunzione di responsabilità a cui far fronte con le proprie risorse finanziarie e umane. L’obiettivo è quello di costruire un percorso comune fra operatori socio-sanitari, famiglia e scuola, al fine di ridurre il più possibile gli esiti disabilitanti dell’affezione”.

Fonte

La Comunicazione Aumentativa per l’integrazione scolastica

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Il diritto allo studio è un principio garantito costituzionalmente. L’art. 34 Cost. dispone infatti che la scuola sia aperta a tutti. A partire dagli anni 70, in Italia si assiste ad un graduale passaggio dal concetto di inserimento a quello di integrazione degli alunni e degli studenti con disabilità nella scuola statale.

Lo sviluppo del  processo inteso a promuovere un percorso di inserimento e di integrazione delle persone con disabilità in ambito scolastico viene testimoniato dalla produzione normativa. Tale processo ha avuto come obiettivo quello di dare attuazione ad un “diritto”, ma soprattutto di implementare strumenti, metodi e servizi, che possano favorire la partecipazione sociale e migliorare il rendimento scolastico delle persone con disabilità.

La Legge 104/92, legge quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone diversamente abili, garantisce il pieno rispetto della dignità umana ed i diritti di autonomia e libertà in ogni ambiente: scuola, famiglia, lavoro e società. Obiettivo dell’integrazione scolastica è lo sviluppo delle potenzialità della persona con deficit nell’apprendimento, nella comunicazione, nelle relazioni e nella socializzazione. La scuola, d’intesa con la famiglia e gli operatori sanitari, compie una puntuale valutazione iniziale attenta allo sviluppo delle potenzialità del singolo. Una vera integrazione si realizza unicamente se al centro dell’attenzione si pongono non soltanto i bisogni della persona con deficit, ma anche i suoi desideri, le sue risorse e le potenzialità nell’ambito dell’apprendimento, della comunicazione, delle relazioni e della socializzazione. Nella scuola si costituiscono le basi per la formazione della persona, della sua cultura, del suo sviluppo cognitivo. L’inserimento e l’integrazione sociale della persona diversamente abile si realizzano mediante provvedimenti che rendano effettivi il diritto all’informazione e il diritto allo studio. Particolarmente importante è il riferimento alle dotazioni didattiche e tecniche, ai programmi, a linguaggi specializzati, alle prove di valutazione e alla disponibilità di personale appositamente qualificato.

Il nostro progetto (ComuniCAAre) va ad inserirsi proprio come un supporto attivo all’istituzione scolastica, soprattutto a quegli insegnanti di classe o di sostegno che mirano a svolgere lezioni che possano rendere la lezione partecipata anche al bambino/ragazzo con DSA o qualsiasi disabilità comunicativa. La CAA può essere infatti , come riportato in diverse ricerche, un importante supporto per l’inclusione e la partecipazione alla scuola, (Jorgensen, Schuh, e Nisbet, 2006; McNaughton e Bryen, 2007; McSheehan, Sonnenmeier, e Jorgensen, 2009).

La scuola ha un’importanza strategica ,soprattutto con gli studenti con DSA; basta pensare alla notevole  quantità di tempo che trascorrono in questo ambiente.Considerando che la durata di un anno scolastico si aggira sui 200 giorni , gli studenti con DSA da 3 ai 18 anni hanno la possibilità di trascorrere fino a 3000 giorni a scuola.  Tutto questo tempo trascorso in una struttura adeguatamente preparata a sostenere le necessità e i bisogni del bambino o ragazzo con DSA è un’opportunità irrinunciabile per attuare un’integrazione anche attraverso la CAA.

Gli strumenti di CAA possono essere utilizzati in questi ambienti per contribuire a soddisfare esigenze della comunicazione quotidiana e per cambiare le aspettative sui ragazzi. Luce, Page, Curran, e Pitkin (2007), parlando di design dei sistemi di CAA in età scolare hanno descritto la necessità di essere oltre che in grado di soddisfare molteplici funzioni e di fornire caratteristiche dinamiche per supportare le interazioni sociali, anche strumenti attrattivi per gli stessi compagni, descrivendo l’importanza di decorare e personalizzarli per renderli appunto più appetibili.

Mentre non vi è alcuna evidenza scientifica per sostenere l’impatto di un “fattore di bellezza” del supporto CAA per le persone con DSA, sembra ovvio che la maggior parte delle persone preferisce utilizzare dispositivi di CAA che siano attraenti, potenti e belli anche per il gruppo dei coetanei. L’utilizzo di comuniCAAre nel contesto scuola si rivela cosi oltre che strumento utile di interazione con i compagni e i professori anche veicolo di interesse “positivo” verso lo studente che utilizza la CAA.

HANDImatica 2012 – IX mostra – convegno nazionale DISABILITA’ E TECNOLOGIE ICT

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da giovedì 22 a sabato 24 novembre 2012
Ingresso libero: ore 9-18
Istituto Aldini Valeriani – Sirani · Via Sario Bassanelli, 9 · Bologna

INFO:

Tel.: 051.277823 – 825
Fax: 051.227801
e-mail: handimatica@asphi.it

Temi
Accanto ai tradizionali temi legati all’integrazione scolastica e lavorativa delle persone disabili, nell’anno europeo dell’invecchiamento attivo e della solidarietà tra generazioni, non poteva mancare un’attenzione particolare al tema degli anziani.

Speciali focus tra tecnologia e esperienze si terranno su argomenti di grande attualità come per esempio l’autismo, la discalculia e altre forme di DSA (disturbi specifici di apprendimento).

Inoltre alcune aziende apriranno finestre sulla loro realtà concreta per mostrare come effettivamente possono lavorare le persone disabili con il supporto della tecnologia.

Area espositiva
Consente ai visitatori e agli espositori un momento di incontro importante. Fin dalle origini di Handimatica sono presenti: aziende produttrici e distributrici di ausili, enti di ricerca, istituzioni e associazioni.

Visitatori
Per quanto riguarda gli aspetti promozionali nel coinvolgimento dei visitatori sono in corso accordi di collaborazioni con le principali categorie professionali interessate a Handimatica: Logopedisti, Pediatri, Ortottisti, Terapisti occupazionali, Neuropsichiatri ecc., oltre agli operatori delle Case Residenziali per anziani.

Consolidati canali da anni coinvolgono il mondo della scuola (educatori, insegnanti, dirigenti scolastici, pedagogisti) e del lavoro (dirigenti d’azienda, responsabili risorse umane, operatori del collocamento), gli operatori socio-sanitari, i disabili e le loro famiglie.

Eventi speciali
Due iniziative (il giovedì e il venerdì), accompagnate da un aperitivo, a partire dalle ore 18 (orario di chiusura dell’area espositiva), saranno dedicate alla cultura accessibile

… Oltre frontiera
Alcuni eventi apriranno l’orizzonte internazionale, coinvolgendo interlocutori europei, sia come interventi ai convegni sia come visitatori.

Lo sviluppo della tecnologia al servizio della CAA

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La capacità di comunicazione interattiva è una componente essenziale del comportamento umano. Ogni persona ha diritto ad usare gli strumenti e i dispositivi necessari per una comunicazione funzionale e efficace dei propri bisogni e delle proprie necessità.

La Comunicazione Aumentativa Alternativa è un tipo di tecnologia assistiva. Essa è costituita da qualsiasi strumento, dispositivo, immagine, simbolo o gesto che compensa le difficoltà di comunicazione espressiva e recettiva.

Il progetto vuole andare ad agire su tale “tecnologia” per fornire un servizio di tecnologizzazione dei classici supporti per la Comunicazione Aumentativa Alternativa. il nostro sforzo in particolare, ma non unicamente,  è rivolto alle persone con Disturbo dello spettro autistico.

“L’Autismo è una sindrome comportamentale causata da un disordine dello sviluppo biologicamente determinato, con esordio nei primi tre anni di vita. Le aree prevalentemente interessate sono quelle relative all’interazione sociale reciproca, all’abilità di comunicare idee e sentimenti e alla capacità di stabilire relazioni con gli altri (Baird et al., 2003; Berney, 2000; Szatmari, 2003).”

L’Autismo si configura come una disabilità “permanente” che accompagna il soggetto nel suo ciclo vitale, anche se le caratteristiche del deficit sociale assumono un’espressività variabile nel tempo. Il deficit del padroneggia mento dei codici della comunicazione investe sia il versante ricettivo che quello espressivo: il bambino autistico non riesce a “capire” quello che gli altri vogliono comunicargli e, nello stesso tempo, non riesce a “farsi capire” (Prizant et al.,1987).

Anche se la compromissione qualitativa della comunicazione accompagna il soggetto autistico nel corso di tutto il suo ciclo vitale, le modalità con cui essa si esprime variano necessariamente nel corso dello sviluppo.

Relativamente alle strategie di intervento, considerando l’età e l’entità della compromissione funzionale, il lavoro, svolto in accordo ad un programma “personalizzato”, comporta che gli operatori conoscano i principi generali delle tecniche di modifica del comportamento. Il lavoro, infatti, deve prevedere l’adozione di tali tecniche, che vanno tuttavia inserite nell’ambito di una dimensione affettivo-relazionale che permetta un apprendimento comunicativo-sociale derivante non solo dagli esercizi di per se stessi, ma dall’intero contesto. In tali situazioni il programma deve, inoltre, avvalersi delle indicazioni derivanti dalla Comunicazione Aumentativa e Alternativa (CAA)

Tratto da : SOCIETA’ ITALIANA DI NEUROPSICHIATRIA DELL’INFANZIA E DELL’ADOLESCENZA,  LINEE GUIDA PER L’AUTISMO

 

Come confermato anche dalle linee guida SINPIA, qui riportate negli estratti maggiormente inerenti, la comunicazione rappresenta insieme all’interazione sociale l’area di maggiore difficoltà nel caso dei DSA. L’alterazione qualitativa della comunicazione infatti risulta essere uno dei criteri diagnostici del Disturbo Autistico indicato nelle due classificazioni internazionali DSMIV e ICD10. La difficoltà comunicativa riguarda vari ambiti e la compromissione può essere anche molto diversa a seconda dei soggetti. L’area della comunicazione, vista la sua grande importanza, è quella ove si sono sviluppate in maniera efficiente strategie visive, uno dei più comuni sistemi di Comunicazione Alternativa è il Picture Exchange Communication System (PECS).

Il PECS viene utilizzato con soggetti autistici per stimolare l’iniziativa nella comunicazione. Tale sistema prevede che si cominci con l’insegnare al bambino ad utilizzare la rappresentazione pittorica di un oggetto o di un evento per far comprendere all’altro ciò che gli interessa. Il metodo prevede progressivamente di insegnare al bambino la discriminazione di simboli e successivamente la capacità di metterli insieme per formare delle “frasi” (Frost et al., 1994). Gli utilizzatori del metodo sostengono che esso non “blocca” l’emergenza del linguaggio verbale, ma anzi, quando questa sia una competenza possibile, la facilita (Carbone, 2000).

Negli ultimi anni, inoltre, per soddisfare le diverse esigenze vengono utilizzati una vasta gamma di dispositivi che utilizzano la Comunicazione Aumentativa e Alternativa  (CAA) (Schlosser, Sigafoos, e Koul, 2009).

Questi dispositivi comprendono tanto gli ausili per la comunicazione con output vocale (VOCA) quanto le applicazioni informatiche software e hardware che forniscono un aiuto per la scrittura e/o la sillabazione.

I VOCA, che vengono definiti dispositivi di CAA a bassa tecnologia, sono dispositivi portatili e computerizzati, che quando vengono attivati producono un output in voce digitalizzata o sintetizzata. Per rappresentare i messaggi vengono impiegati una serie di simboli visuo-grafici, che vengono attivati quando una persona utilizza un dito, una mano, un puntatore ottico o un altro mezzo per selezionare un simbolo dal pannello fisso del VOCA. Per quel che concerne invece gli ausili ad alta tecnologia si intendono ausili elettronici più complessi con la capacità di registrare fino a otto minuti di messaggi digitalizzati. Molti di questi supporti hanno frontalini intercambiabili in cui è possibile inserire da cinque a quarantacinque celle per messaggi. Infine vi sono i dispositivi con schermi dinamici, diversamente da quelli citati finora, che hanno simboli o parole scritte prestabiliti, inseriti sulla tavole di comunicazione o nei dispositivi con emissione di voce e che vengono sostituiti solo quando sono materialmente tolti e cambiati. Tali dispositivi con schermi dinamici hanno la possibilità di cambiare schermo alla selezione di un determinato simbolo.

Il nostro progetto (comuniCAAre) va ad inserirsi proprio in quest’ultima tipologia di ausili, fornire un supporto a schermo dinamico partendo dal supporto cartaceo che ha in dotazione ogni persona che utilizza la CAA.

Questo perché le persone affette da DSA hanno spesso la necessità di accedere alla CAA in situazioni in cui un computer da tavolo è semplicemente inutilizzabile o proprio non presente.

Considerando inoltre che la maggior parte delle persone con Disturbo dello Spettro Autistico (DSA) hanno buone capacità muoversi, un supporto informatico standard come il computer o il portatile possono essere limitanti per la libertà di movimento e l’ utilizzo stesso della CAA.

Per questo motivo si è reso necessario individuare soluzioni di CAA che siano sia portatili che leggere.

Le tecnologie portatili sono cambiate notevolmente nel corso degli ultimi decenni, si pensi, ad esempio, alla differenza tra il dispositivo utilizzato da Romski e Sevcik (1996) nelle loro prime ricerche sul sistema di Augmented Language (SAL), in confronto con l’ultimo iPhone.o con il tablet di ultima generazione, la potenza di calcolo è aumentata e i computer sono diventati sia più accessibili che più portabili.

Già nel 1965 Gordon Moore, fondatore di Intel, enunciò una “legge” dei computer nella quale affermava che il numero di transistor in un microchip tende a raddoppiare ogni 18 mesi (Moore, 1998).

La legge di Moore aiuta a spiegare come mai opzioni digitali più potenti e portatili di CAA siano ora disponibili a prezzi più accessibili che mai prima d’ora.

Sfruttando queste nuove tecnologie e questi nuovi supporti informatici il nostro obiettivo è rendere accessibile la CAA da ogni tablet che l’utente sceglie di acquistare o che ha già unendo al supporto visivo dei simboli anche un output vocale del simbolo selezionato.

L’utilizzo del sistema CAA sia in fase di input che di output è già stato istituito come buona pratica per le persone con DSA (Mirenda e Iacono, 2009).

L’influenza di Temple Grandin (1996), con il suo libro “Thinking in Pictures” ha indubbiamente contribuito a diffondere l’idea di come le persone con DSA hanno un pensiero per immagini. Oltre a ciò molte ricerche hanno dimostrato come l’utilizzo di supporti visivi e di simboli sia in fase di ricezione che in fase di espressione siano utili.

In una recente revisione, Wendt (2009) ha scoperto che l’utilizzo di simboli grafici per effettuare una richiesta favorisce la conoscenza e la comprensione della consegna. Anche Mirenda e Brown (2009) hanno esaminato l’utilizzo dei supporti visivi per aumentare l’input sia tra-attività che all’interno di programmi di attività, nonché nelle Social Stories™, riscontrando una buona dell’efficacia della CAA.

Il sistema di comunicazione Picture Exchange (PECS) migliora la capacità di comunicazione funzionale come emerso dalle ricerche effettuate da Bondy & Frost, (2009).

Anche altre strategie di supporto visivo, oltre ai PECS, come le schede di alimentazione, di emergenza le mappe e le foto hanno prove emergenti per sostenere il loro uso (Mirenda & Brown). Attraverso comuniCAAre non vi sarà alcuna difficoltà ad utilizzare qualsiasi simbolo o immagine l’utente già abbia nel proprio vocabolario poiché è proprio dal materiale in suo possesso che si sviluppa il programma.

Nel complesso, l’uso di simboli e supporti visivi per la comunicazione, la programmazione e l’istruzione viene attualmente considerato come un insieme di pratiche che si possono utilizzare in modo efficace con le persone con DSA.

Una preoccupazione comune dei genitori e degli educatori di persone con DSA è che l’uso della CAA possa interferire , o sopprimere, lo sviluppo del linguaggio naturale (Beukelman, 1987).

Nel corso degli ultimi anni, è stato dimostrato che questo è un falso problema, l’uso della CAA e lo sviluppo del linguaggio naturale infatti non si escludono a vicenda. Tale affermazione è supportata da evidenze scientifiche, Millar, Luce, e Schlosser (2006) hanno pubblicato una revisione di studi riguardanti gli effetti dell’intervento CAA sulla produzione vocale in bambini con disabilità dello sviluppo ed non hanno trovato alcuna prova che l’utilizzo della CAA abbia ostacolato la produzione del linguaggio. Più recentemente, sia Schlosser e Wendt (2008) che Millar (2009) hanno pubblicato ulteriori revisioni della letteratura globale riguardante nello specifico i bambini con DSA ed hanno  trovato come non vi sia alcuna prova che la CAA abbia ostacolato lo sviluppo del linguaggio. In molti casi infatti, i bambini esaminati hanno ottenuto dei miglioramenti anche per quel che concerne il linguaggio verbale.

Appare chiaro da queste recensioni che gli interventi di CAA sono componenti importanti di un sistema di comunicazione completo per gli individui con DSA.

Due dei più importanti progressi nella tecnologia CAA negli ultimi dieci anni sono stati lo sviluppo della sintesi vocale di alta qualità e i display dinamici che cambiano automaticamente le opzioni visibili in risposta ad un’input dell’utente.

Tuttavia, la maggior parte degli studi di CAA e DSA hanno utilizzato dispositivi di bassa tecnologia o che dispongono di display statici e / o senza uscita audio, come ad esempio PECS (Schlosser e Wendt, 2008).

Nonostante ciò, l’uso di sistemi computerizzati con display dinamici e con l’ uscita audio per le persone con DSA stanno ottenendo buoni risultati dalla ricerca (Schlosser, 2003;. Schlosser et al, 2009). Anche se alcuni sostengono che la sintesi vocale può non essere preziosa per le persone con DSA, che sono principalmente “visive”, sembra che alcuni individui con DSA possano preferire la voce in uscita e beneficiare dal suo uso (Son, Sigafoos, O’Reilly, e Lancioni , 2006). Onde evitare possibili interferenze o un utilizzo stereotipato del programma comuniCAAre offre la possibilità di personalizzare il supporto informatico nel modo più consono ad un suo ottimale utilizzo in funzione di come l utente lo preferisce, potendo, su richiesta, modificare il tipo di output vocale in base all’età al sesso o semplicemente con una voce sintetizzata.

Secondo il DSM-IV, come precedentemente già riportato, le difficoltà motorie non sono un criterio necessario per la diagnosi di DSA (American Psychological Association, 2000). Tuttavia, molti individui in questa popolazione necessitano di fare esperienza per sviluppare un buon controllo motorio oppure hanno difficoltà di pianificazione motoria che possono interferire con l’accesso ad un sistema di CAA (Mirenda, 2003). Dev’essere quindi posta molta attenzione sul favorire gli utenti all’utilizzo del supporto tablet, diminuendo, ove possibile, la differenza tra supporto cartaceo e quello digitalizzato. Per questo motivo comuniCAAre ha scelto di utilizzare come punto di partenza il supporto cartaceo dell’utente, quel supporto con cui ha già sviluppato determinate abilità e conoscenze riducendo al minimo la differenza degli schemi motori da attuare per effettuare una comunicazione attraverso il tablet.

La diagnosi precoce di autismo: il ruolo del pediatra

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  • Cos’è l’autismo e qual è l’impatto epidemiologico di questo disturbo?

Il disturbo autistico e i disturbi dello spettro autistico costituiscono la “disabilità sociale” per eccellenza. Sono disturbi secondari a un’alterazione neurobiologica dello sviluppo cerebrale su base genetica e ad altre concause ancora non ben identificate: tossinfettive, metaboliche, ambientali. La sintomatologia è caratterizzata da una disarmonia precoce tra le diverse aree funzionali: motorie, sensoriali, cognitive e comunicativo-linguistiche. Secondo dati attuali la prevalenza del disturbo autistico è di circa 5/10.000 bambini. Quando vengono considerati il disturbo autistico e i disturbi dello spettro autistico, le stime di prevalenza, secondo studi recenti, variano da 15/10.000 a 40/10.000.

  • A cosa deve prestare attenzione il pediatra nell’ambito dei bilanci di salute del neonato e del lattante?

I primi mesi di vita costituiscono un momento di grande impegno per il neonato lattante rispetto all’adattamento all’ambiente esterno. È necessario prestare attenzione al profilo neurocomportamentale fin dai primi sei mesi di vita, nucleo essenziale dell’interazione e dello scambio emotivo nel rapporto precoce mamma/bambino e premessa per la conoscenza di se stessi e degli altri e per l’acquisizione delle abilità sociali che avverranno. Successivamente attenzione ai riflessi di suzione/deglutizione durante l’allattamento, alle modalità di attaccamento al seno, ai ritmi del sonno e consolabilità quando il bambino piange, alle posture corporee quando il bambino si tiene in braccio, all’orientamento verso il volto, verso le luci e i suoni. In questo periodo della vita del bambino il pediatra deve sostenere la competenza genitoriale orientandola alla capacità di osservazione del proprio bambino e alle stimolazioni da offrire nell’ambito delle cure quotidiane.

  • Quale strumento di screening si può utilizzare e qual è il periodo di maggiore significatività per individuare il rischio evolutivo di autismo?

Ci sono diversi strumenti di screening che si possono eseguire già a 18 mesi di vita del bambino, che consentono di inviare al neuropsichiatra infantile i casi con sospetto di autismo. La Checklist for Autism in Toddlers (CHAT) è la più utilizzata a tal fine e permette anche un confronto tra genitore e pediatra sulle “preoccupazioni” rispetto allo sviluppo del proprio figlio e sulle sollecitazioni da offrire per il migliore sviluppo interattivo. Si compone di due sezioni distinte, una per le risposte dei genitori e una per le risposte degli operatori. Lo strumento è stato studiato per essere utilizzato da operatori di base, pediatri di famiglia e assistenti sanitari. È abbastanza veloce da somministrare (circa 5 minuti) e ha scarse possibilità di errore.
Quali gli indicatori di rischio a 18 mesi rilevabili dalla CHAT e specifici per la diagnosi di autismo?
Il bambino deve essere considerato a “rischio” quando:
– non si gira al richiamo;
– mostra uno sguardo sfuggente o iperfisso nei confronti dell’interlocutore;
– ha un gioco ripetitivo (mette in fila oggetti, li fa ruotare, li ammucchia) o caotico e non riesce ad organizzare un gioco di finzione (dare da mangiare al bambolotto o fargli fare nanna);
– non ha acquisito i gesti deittici dell’indi- care con il dito al fine di fare rivolgere l’attenzione dell’altro su un oggetto o su un evento (attenzione congiunta) e i gesti refe- renziali ( come il “ciao ciao” con la mano, coerente al contesto).
Esistono casi in cui la CHAT a 18 mesi non solleva nel pediatra il dubbio del rischio di autismo?

̀ possibile nelle forme borderline con sintomi sfumati o quando il bambino ha acquisito alcune forme di verbalizzazione atipica ed episodica (ripete spot pubblicitari o la canzoncina del compleanno) ma non possiede le prime parole di richiesta per bisogni primari (come latte, acqua, pappa). Vi sono inoltre forme con esordio regressivo in cui, dopo un periodo di apparente normalità, nel corso del secondo anno di vita, si assiste a una regressione del com- portamento sociale (la chiusura e lo sguardo sfuggente e la tendenza all’isolamento, il gioco solitario ripetitivo) e alla comparsa di comportamenti problematici “disadatti- vi” come difficoltà e reazioni esagerate alle esposizioni sociali (pianto e urla inconsola- bili come reazione agli estranei, a luoghi nuovi) o particolare attaccamento alle rou- tine (particolare attaccamento agli stessi vestiti, reazioni esagerate al cambio) o repentini viraggi dell’umore con reattività che rendono difficile la gestione del bambi- no nel quotidiano.
Per l’esistenza di questi casi a esordio tardivo è utile ripetere la CHAT al termine del secondo e del terzo anno di vita entro i 30 mesi.

  • Qual è l’epoca di conferma della diagnosi di autismo e quale il periodo migliore per attivare l’intervento riabilitativo?

Entro i tre anni di vita, anche nei casi borderline, si può e si deve formulare la diagnosi di certezza di autismo, ma l’interven- to deve essere attivato già nella fase in cui il neuropsichiatra infantile emette l’ipotesi diagnostica rispetto all’invio del pediatra, al fine di favorire quanto più possibile la ripresa precoce dello sviluppo armonico del bimbo. Il periodo dei 18-30 mesi è una “finestra di opportunità” unica rispetto al momento dello sviluppo e della “plasticità cerebrale”. Pertanto è fondamentale la con- divisione del percorso diagnostico terapeutico tra specialisti (pediatra e neuropsichiatra infantile) e genitori con una sintonia da sostenere sulla visione e la cura del bambino che ben presto diventerà adulto.

Angelo Spataro (a cura di)
Pediatra di famiglia, ACP Trinacria, responsabile della Segreteria “Salute mentale” dell’ACP Quaderni acp 2011; 18(4): 149

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A Pisa robot riproduce emozioni umane, servirà per cura autismo

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Nei laboratori dell’Universita’ di Pisa, un team di ricercatori del Centro ‘E. Piaggio’, in collaborazione con un ricercatore statunitense, ha dato vita a un robot dalle fattezze umane, un androide di genere femminile con il volto che si ispira a quello della moglie di uno dei ricercatori coinvolti nell’esperimento, capace di riprodurre le espressioni facciali, le emozioni umane e interagire con l’uomo.

Il robot e’ utilizzabile nelle terapie dei bambini affetti da autismo. Il sistema integrato si chiama Face (Facial Automaton for Conveying Emotions) ed e’ stato creato dal Faceteam, il gruppo di ricerca del Centro ‘E. Piaggio’ diretto da Danilo De Rossi, e a cui lavorano Daniele Mazzei, con il ruolo di Technical Leader, e i dottorandi Nicole Lazzeri e Abolfazl Zaraki.