L’importanza del progetto individuale di vita della persona autistica

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di Gianfranco Vitale

Le condizioni di tante persone autistiche adulte, in particolare di quelle che vivono all’interno di RSD (e persino RSA), si sono notevolmente aggravate a causa di molteplici fattori, non tutti riconducibili alle drammatiche conseguenze legate allo scoppio della pandemia da Covid 19. Faccio questa premessa perché la negazione di diritti, a cui i nostri figli sembrano condannati, è ben antecedente all’epidemia.

In molte RSD l’approccio all’autismo ha visto accentuarsi la componente psichiatrica, affidata come sempre ad una deleteria “cura” di matrice farmacologica, che in alcuni momenti, come sanno bene le famiglie, annienta la Persona, riducendola ad una sorta di zombi ai quali si chiede soltanto di eseguire meccanicamente i comandi di un’agenda, peraltro sempre uguale a sé stessa, che qualcuno camuffa addirittura con le parole “strutturazione giornaliera dell’intervento”.

Sono innumerevoli le segnalazioni e le testimonianze di genitori che parlano di una sensibile regressione dei loro figli, persino nel linguaggio, cui – nei rari momenti di rientro a casa o di incontro in comunità – hanno visto fare cose che non erano mai avvenute in passato, non ultima un’accentuata “improvvisa” aggressività.

La componente abilitativa e riabilitativa in questi Centri (ma perché: fuori ciò che accade è così diverso?) è largamente inadeguata e continuerà ad esserlo finché non si capirà che ogni autistico è prima di tutto una Persona che ha una sua individualità. Ciò rende improponibile chiedere a tutti di fare la stessa cosa, di eseguire gli stessi compiti. Questo mesto rituale non aiuta la Persona a capire, a essere più autonoma, partecipare, osservare, coinvolgere, scegliere, agire. Si tratta di un approccio che è la negazione di ciò di cui una persona autistica ha bisogno.

Mentre gli apprendimenti latitano o ristagnano è facile osservare che anche in campo clinico sono presenti elementi di forte criticità. È completamente assente quella presa in carico multidisciplinare di cui gli autistici hanno bisogno.

L’intervento è meramente e desolatamente psichiatrico, come se le persone autistiche fossero in possesso di un solo organo funzionale, il cervello, e pertanto a meritare attenzione dovessero essere unicamente le problematiche legate al disfunzionamento neurologico.

Sappiamo bene che non è così. Tutte le iniziative mediche “esterne”, volte ad indagare le problematiche “altre”, legate per esempio al sistema immunitario, metabolico, ormonale, si devono quasi esclusivamente all’iniziativa dei familiari, e spesso si scontrano con la chiusura ideologica di reti in cui la psichiatria dominante non esita a mettere la sua sterile autoreferenzialità persino davanti all’obiettivo del miglioramento della qualità della vita della Persona.

Si rimane sconcertati e sconvolti dall’agitazione e dall’inquietudine di tanti uomini e donne autistiche, devastati dall’ansia per non potere nemmeno riabbracciare i propri cari. Sono persone distrutte da un regime assurdo di isolamento, che sarebbe più giusto chiamare “segregazione”, che ne cancella giorno dopo giorno l’identità, obbligandole in modo coatto a sopravvivere alla meno peggio.

I responsabili delle RSD si limitano ad applicare burocraticamente un vergognoso protocollo, che brilla solo per la sua ignorante superficialità. Medici e professionisti non si sono mai spinti un passo oltre per denunciare l’insopportabilità di questo assurdo regime di isolamento.

Mai nessuno si è schierato dalla parte di tanti autistici che hanno dovuto, soggiacere, impotenti, a regole così devastanti. Sono stati accettati e fatti propri, in modo del tutto acritico, provvedimenti insulsi, sbagliati e dannosi, in una parola disumani.

Sarebbe ora di parlare di questo fallimento. Sarebbe ora di chiedersi a cosa e a chi è dovuto. Sarebbe ora di riconoscere la lunga sequenza di errori commessi, per conservare e alimentare quanto meno la speranza di ripartire al più presto in modo credibile.

È perciò necessario adoperarsi immediatamente presso le istituzioni per far cessare l’odiosa segregazione a cui persone fragili e fragilissime sono costrette. Si dia loro la possibilità di rientrare a casa senza poi pagarne dazio con provvedimenti insulsi, a partire dal cosiddetto isolamento fiduciario, coatto, di due settimane, che è solo l’ennesima vergognosa discriminazione nei confronti di Persone già così duramente provate dalla vita.

Le Direzioni Scientifiche delle RSD non aspettino, come al solito, la manna dal cielo ma sollecitino una risposta a questo stesso quesito, ricordando ai destinatari che si parla di persone autistiche monitorate e vaccinate.

Si mobilitino le associazioni che in questo periodo hanno brillato soprattutto per il loro silenzio. Abbiano un sussulto di orgoglio che ci permetta di dire che non sono fantasmi. Denuncino “l’imbroglio” di provvedimenti (l’ordinanza del 6 Maggio del ministro Speranza) in cui si legge di riaperture di RSA (e implicitamente di RSD) che sono solo sulla carta. Ripassino, in proposito, un estratto della dichiarazione che ha rilasciato, Sandra Zampa, ex sottosegretaria del ministero della Salute, nel corso di un intervento andato in onda su Agorà, di Rai 3, qualche ora dopo lo scontato battage promozionale dei media avvenuto domenica 7, in occasione – toh guarda che coincidenza – della Festa della Mamma. Uscita strumentale dell’ordinanza proprio in questo giorno? Noooo, assolutamente no! Mai sospettato!

Queste le parole di Sandra Zampa: “Ho lavorato molto sul tema delle RSA e sono molto preoccupata perché in realtà la questione è lontana dall’essere risolta. Tanto che risulta che ci sono ancora sette o otto RSA su 10 che ieri non hanno affatto aperto. Problema che ci dobbiamo porre.

Per la riapertura delle RSA erano state fatte due circolari ministeriali, una a dicembre e una a novembre 2020. Ma non era successo nulla. Sono le regioni che devono far rispettare le circolari ministeriali”.

Per ora possiamo dire che l’ordinanza nazionale (che peraltro assai discutibilmente ribadisce il forte potere discrezionale in capo alle Direzioni socio sanitarie delle strutture) con cui si dovrebbe dovrebbe dar seguito e operatività alla circolare del 30 novembre 2020, è largamente disapplicata e chi non la rende operativa non ne paga, come invece sarebbe doveroso, le conseguenze. 

Per parte loro le famiglie devono andare oltre il legittimo comprensibile umano risentimento e attivarsi immediatamente, innanzitutto perché per i propri figli sia approntato e realizzato il progetto individuale di vita fissato dall’articolo 14 della legge 328/00.

È un diritto delle famiglie richiederlo, è un diritto dei figli goderne, è un dovere dei Servizi e delle Istituzioni garantirlo. Senza questa risorsa è forte il timore che anche quando la pandemia sarà finita (Iddio voglia che succeda il prima possibile), gli interventi continueranno ad essere sfilacciati, precari, episodici, velleitari, non continuativi, non rispondenti ai reali bisogni.

Senza un progetto individuale di vita sarà, lo dico con altre parole, inevitabile e irreversibile il declino dei nostri figli.

Non stiamo chiedendo nulla di più e nulla di meno di quanto è loro dovuto. I nostri figli non sono fascicoli polverosi da aprire due volte all’anno ma Persone in carne ed ossa, con diritti e dignità per lo meno uguali a tanti di quelli che dicono di occuparsi di loro. Eh già: “Che dicono”…

Non affrontare operativamente questo tema significa rendere inutile qualsiasi dibattito sul durante e dopo di noi, svuotarlo di ogni significato.