Genetica ed evoluzione cerebrale nell’autismo

1779

Le varianti genetiche legate allo sviluppo di disturbi dello spettro autistico possono essere state favorite dalla selezione naturale perché associate a un miglioramento delle capacità cognitive.

Questa affascinante e controversa ipotesi era già emersa in alcuni studi condotti in una prospettiva antropologica. Ora però è stata confermata da un’analisi genetica su più di 5000 soggetti affetti da disturbo dello spettro autistico e pubblicata su “PLOS Genetics” da Renato Polimanti e Joel Gelernter della Yale School of Medicine.

Secondo le leggi dell’evoluzione, le varianti genetiche che hanno un impatto fortemente negativo sul successo riproduttivo generalmente vengono eliminate dalla popolazione in tempi molto rapidi.

Se però una variante ricorre molto spesso e ha un effetto limitato, si può manifestare un effetto cumulativo su tratti ereditari complessi, sia positivi sia negativi. E se le varianti offrono una migliore chance di sopravvivenza, subiscono una selezione positiva, e tendono perciò a rimanere nel genoma per molte generazioni.

La genetica dei tratti del cervello, in questo senso, è estremamente interessante. La sua grande complessità è stata plasmata dall’evoluzione ed è l’elemento più importante per l’adattamento all’ambiente della specie umana. Eppure, la selezione naturale non ha eliminato i disturbi mentali, che non favoriscono certo il successo riproduttivo di un individuo.

Il fenomeno appare ancor più paradossale se si considera che solo una piccola parte delle predisposizioni genetiche ai disturbi mentali è dovuta a mutazioni de novo, cioè non presenti nei genitori, mentre la maggior parte è ereditata,quindi già presente nei geni ereditati, ed è di carattere poligenico. La predisposizione, in sostanza, è un effetto cumulativo di più varianti geniche che di per sé non produrrebbero effetti fenotipici di rilievo.
Un caso particolare è quello dell’autismo, perché i soggetti che ne sono affetti mostrano un deficit nella comunicazione verbale e non verbale, così come nell’interazione sociale, ma possono avere capacità cognitive molto sviluppate. L’ipotesi è quindi che i tratti autistici non siano stati eliminati dall’evoluzione perché sono almeno in parte vantaggiosi.

Per verificarlo, Polimanti e Gelernter hanno effettuato uno studio di associazione sull’intero genoma e un’analisi di selezione genetica evolutiva su campioni di 5000 soggetti affetti da disturbi dello spettro autistico, rilevando che le varianti geniche associate portano i segni caratteristici di una selezione positiva. In altre parole, sono state favorite dall’evoluzione per la ragione ipotizzata.

“Abbiamo scoperto che queste varianti sono associate oltre che ai disturbi dello spettro autistico, anche a un elevato livello intellettivo”, ha spiegato Polimanti. Per esempio, sono implicate nei processi molecolari alla base della formazione di nuovi neuroni.

“Potrebbe essere difficile immaginare perché un gran numero di varianti genetiche si è mantenuto in una popolazione umana anche se  può portare allo sviluppo di disturbi mentali”, ha concluso Joel Gelernter. “L’idea è che durante l’evoluzione queste varianti con effetti positivi sulla funzione cognitiva abbiano subito una selezione positiva, che però ha avuto un costo: in questo caso, un maggiore rischio di disturbi dello spettro autistico”.

Articolo tratto da:

http://www.lescienze.it/news/2017/03/02/news/selezione_positiva_geni_autismo-3444133/