Barriere architettoniche: esiste una legge che i Comuni non usano

343

Le leggi ci sono eccome, a partire dalla 118 del 30 marzo 1971, seguita da altre sempre molto precise ed evolute, ad integrare e aggiornare la normativa in materia.
In particolare, la Legge 41/86 (articolo 32, comma 21 e comma 22) obbligava Comuni e Province a predisporre Piani per l’Eliminazione delle Barriere Architettoniche (i cosiddettiPEBA), entro un anno dall’entrata in vigore della stessa, pena il commissariamento in materia da parte delle Regioni.
Successivamente, la Legge Quadro 104/92 aveva ampliato la materia di competenza, stabilendo (articolo 24, comma 9), che «i piani di cui all’articolo 32, comma 21, della citata legge n. 41 del 1986» dovessero essere «modificati con integrazioni relative all’accessibilità degli spazi urbani, con particolare riferimento all’individuazione e alla realizzazione di percorsi accessibili, all’installazione di semafori acustici per non vedenti, alle rimozioni della segnaletica installata in modo da ostacolare la circolazione delle persone handicappate».

In sostanza, il PEBA è lo strumento che la legge italiana impone agli Enti Locali per rendere totalmente accessibili alle persone con disabilità gli spazi pubblici sia a livello edilizio che urbano. Esso prevede un preciso rilievo delle barriere presenti negli edifici e nei percorsi urbani, individuando le possibili soluzioni con una stima di massima dei costi: si configura in tal modo la fase preliminare delle progettazioni degli interventi, nonché la definizione di esigenze prioritarie. Gli Amministratori sono pertanto tenuti a rimuovere le barriere architettoniche secondo una programmazione e non in maniera contingente e occasionale.
Ebbene, ad oggi, degli oltre 8.000 Comuni italiani, sono ben pochi quelli che hanno elaborato i PEBA, procrastinando in questo modo un’inadempienza che dura da 27 anni.

FONTE